Paolo Berretta, Stefano Gentili, Teodora Macchia
Istituto Superiore di Sanità – 2006

 

L’abuso di cocaina è divenuto un problema significativo di salute pubblica anche in Italia. Dai dati del Ministero della salute, presso i servizi pubblici le richieste di trattamento per cocaina hanno raggiunto, tra il 1998 ed il 2004, un incremento del 230%. Le tabelle che seguono riportano i cambiamenti in termini di punti percentuali delle principali sostanze registrate a livello nazionale nell’utenza dei Ser.T tra il 1991 ed il 2005.

 

cambiamenti-sostanze-abuso-secondarie

 

Nel complesso, quindi, attualmente oltre 4 utenti su 10 presentano problemi direttamente e indirettamente connessi al consumo di cocaina il cui trend è ancora in crescita lasciando prevedere un incremento di problemi che i Servizi territoriali dovranno affrontare. Lo scenario futuro richiede da subito uno sforzo maggiore nella ricerca di approcci più efficaci al trattamento anche attraverso il contributo significativo del laboratorio. Centreremo nel seguito l’attenzione sul ruolo e sull’utilizzo dello screening urinario nel trattamento della dipendenza da cocaina. Prevedere l’esito di un paziente che entra in trattamento per cocaina è un obbiettivo della ricerca clinica in quanto consente al medico di calibrare l’intervento sulle esigenze del paziente e di allocare in maniera più efficace le risorse. In ragione di questo, molti studi hanno puntato l’attenzione su variabili pre-trattamento in grado di farne prevedere, anche se parzialmente, l’esito. Negli anni novanta si è iniziato a considerare con attenzione il significativo contributo di un test urinario effettuato prima del percorso di ingresso in trattamento per dipendenza da cocaina. Sulla base di alcuni studi, infatti, (Higgins S.T. et al. 1994; Alterman A.J. et al. 1997) questo accertamento appariva un indicatore forte per il successivo esito del paziente.

E’ stato dimostrato che tra i pazienti con un campione di urine positivo per cocaina/metaboliti al momento della valutazione per l’ingresso in trattamento, pochi riuscivano a concludere il percorso rispetto ai pazienti con urine all’ingresso negative. Altri studi hanno anche dimostrato una relazione tra positività alla sostanza/metaboliti in un singolo test urinario di ingresso e successivi livelli d’uso di cocaina. Ad esempio, in uno specifico studio (Ehrman R.N. et al. 2001) stato seguito un gruppo di 61 soggetti dipendenti da cocaina che avevano completato un ciclo di trattamento di 4 settimane. Tutti i partecipanti avevano fornito un campione di urine almeno una settimana prima del trattamento; successivamente, sono stati raccolti tre campioni urinari per ciascuna delle quattro settimane di trattamento per un totale di 732 campioni. Le urine erano analizzate per la benzoilecgonina (principale metabolita della cocaina) con la tecnica di screening FPIA (Fluorescence Polarization Immuno Assay) con un cutoff di 300 ng/ml al di sopra del quale il campione era considerato positivo indicando uso di cocaina. Lo screening effettuato una settimana prima dell’inizio del trattamento aveva evidenziato 37 soggetti negativi e 24 positivi. Nel gruppo di questi ultimi, nel corso di tutto lo studio, si è registrato più del doppio di campioni positivi rispetto al gruppo di coloro che avevano urine negative al test preliminare e solo il 17% era cocaina-free nel successivo periodo di trattamento.

Lo studio dimostra con chiarezza un’associazione tra risultato iniziale del test urinario, elevato rischio di uso successivo della sostanza ed outcome ridotto. Ne consegue un’indicazione utile per la clinica e per la ricerca, cioè la necessità di stratificare in base ai risultati del test urinario preliminare i partecipanti quando si valuta l’efficacia di un trattamento. In sostanza, un test urinario che preceda l’ingresso in trattamento è raccomandato come indicatore di successivo esito. D’altra parte lo screening sulle urine è parte integrante del processo di ammissione al trattamento ed è di agevole interpretazione; risulta pertanto praticabile in ogni centro la procedura raccomandata per individuare i soggetti ad alto rischio di abbandono e per mettere in atto interventi complementari mirati a incrementarne la ritenzione in trattamento a prescindere dalla tipologia di quest’ultimo. Nonostante lo screening sulle urine sia il più diffusamente utilizzato anche nel campo della clinica delle tossicodipendenze, è utile sottolineare alcune particolarità ed alcune limitazioni che caratterizzano questa matrice, come anche la necessità di un’adeguata interpretazione del risultato.

Ad esempio, un esito positivo del test urinario segnala che il soggetto ha assunto una determinata sostanza, ma non fornisce informazioni sulla dose, sul momento e sulle modalità di assunzione. Un esito negativo non consente ad es. di escludere che la sostanza sia stata assunta entro un lasso di tempo insufficiente ad essere rilevata nelle urine oppure che il soggetto abbia assunto più sostanze e la concentrazione di ciascuna sia sotto la soglia di cutoff. Lo schema che segue sintetizza, a fronte dell’esito del test urinario, alcune considerazioni dal punto di vista chimico-analitico e clinico.

 

esito-test-cocaina

 

In campo clinico, nella valutazione dell’esito di un test finalizzato a rilevare la presenza di droghe, occorre tener presente che le urine si prestano più facilmente di altre matrici biologiche ad essere
adulterate per alterazione, diluizione (in vitro e in vivo) e sostituzione portando ad un esito falsamente negativo del test di screening soprattutto quando quest’ultimo sia condotto con metodi
immunochimici. L’individuazione di campioni urinari “non idonei” in fase preanalitica è quindi essenziale per l’attendibilità/utilità della diagnosi di laboratorio, ma tale verifica può risultare non
agevole. In base alle più diffuse modalità di contraffazione del campione, lo schema che segue riporta i livelli decisionali di alcuni parametri secondo quanto proposto dalla SAMHSA (Substance
Abuse and Mental Health Services Administration) (SAMHSA, HHS 2005).

 

indicazioni-urina

 

La presenza di sostanze interferenti con i dosaggi (prevalentemente su base immunochimica) come ad es. detergenti, ossidanti, acidi, basi, nitriti, può essere facilmente rilevata in laboratorio individuando così campioni adulterati. Nel caso di campioni diluiti, in vitro o in vivo, una pratica 4 efficace dettata dal buon senso consiste nel concentrare per evaporazione naturale (lasciando le provette stappate per una notte) i campioni individuati o sospettati tali. Questa pratica consente di recuperare nello screening gran parte dei campioni che sarebbero risultati erroneamente negativi, cioè sotto la soglia di cutoff stabilito per le specifiche sostanze, perché diluiti. La finestra temporale di rilevabilità della sostanza è un altro elemento significativo nello screening urinario. Diversi fattori influiscono sui tempi di rilevabilità della sostanza e dei suoi metaboliti, alcuni di essi attengono al singolo individuo (es. metabolismo ed escrezione, genere, peso corporeo), altri alle modalità di assunzione (es. quantità, frequenza, via di assunzione, poliassunzione), altri ancora alle caratteristiche del metodo analitico utilizzato (es. cutoff, base immunochimica o cromatografica). Riferendoci in particolare alla cocaina, i suoi metaboliti vengono eliminati con diversa rapidità nelle urine, ma sono tutti generalmente escreti entro due giorni dall’ultima assunzione.

Dopo tale periodo, non si rilevano tracce urinarie. La finestra di rilevabilità varia anche in funzione della via di assunzione della cocaina, dell’abitudine assuntiva (la quantità di metaboliti escreti aumenta anche del 50% nella condizione di assunzione cronica), delle caratteristiche dei metodi utilizzati per lo screening e la conferma (in particolare dei loro cutoff), dell’associazione con altre sostanze, delle caratteristiche del campione esaminato (la quota escreta di sostanza e metaboliti è pH dipendente, ad eccezione della benzoilecgonina che è una molecola anfotera). Una dose di 20 mg di cocaina per via endovenosa può essere rilevata al massimo fino ad 1,5 giorni; dosi di strada, assunte per altra via, sono rilevabili sino ad 1 settimana; dosi molto elevate sino a 3 settimane (Vandevenne M. et al. 2000) In ambito clinico, l’analisi tossicologica in urine riguarda l’identificazione della sostanza, prevalentemente dei metaboliti, più che la sua quantificazione la quale risente di notevole variabilità inter- ed intra-individuale. A livello di screening, infatti, il valore quantitativo di per sé non è significativo al fine di determinare l’epoca di assunzione, la dose assunta, il grado di dipendenza e di performance del soggetto, l’intensità della cura necessaria, il rispetto del contratto terapeutico durante il trattamento.

La concentrazione di cocaina e metaboliti varia in termini quantitativi, e talvolta qualitativi, a seconda della via di assunzione per differenze nell’assorbimento, nel metabolismo e nell’escrezione. Tali differenze si possono riflettere nei risultati dell’analisi urinaria. Dopo la somministrazione di singole dosi bioequivalenti di cocaina per via endovenosa, intranasale e per fumo, la cocaina si presenta con il suo picco nel primo campione raccolto entro 1 ora e scompare (al di sotto del limite di rilevazione, LOD, pari a 1 ng/mL con GC-MS) entro 24 ore. La benzoilecgonina risulta il metabolita a più elevata concentrazione e rappresenta il 39%, 30% e 16% della dose assunta rispettivamente con le tre diverse modalità per le quali la somma di ecgonina metil estere e di 6 metaboliti minori corrisponde, rispettivamente, al 18%, 15% ed 8%. La anidroecgonina metil estere è presente in tracce, 0.02%, nelle urine a seguito di assunzione per fumo (Cone E.J. et al. 1998) Sono state inoltre rilevate norcocaina (attiva nella epatotossicità cocaina-mediata) e cocaetilene formata per metabolismo epatico a seguito di assunzione combinata cocaina-alcol. Questa combinazione produce un incremento della concentrazione di cocaina nel sangue e nel cervello, inibisce la produzione di benzoilecgonina ed ecgonina metil estere, si associa ad un significativo incremento della concentrazione di norcocaina.

Queste osservazioni sottolineano ancora una volta come il dato quantitativo urinario sia influenzato da un insieme di variabili, oltre che dalla dose assunta, e come sia opportuno abbinare alla determinazione urinaria della cocaina un’analisi alcolemica. Anche l’abitudine assuntiva può influenzare il dato di laboratorio. Pochi studi riportano dati di laboratorio in urine di assuntori pesanti. Sono quindi particolarmente interessanti i risultati ottenuti 5 in uno studio su assuntori cronici in un periodo mirato di sospensione della cocaina (Preston K.L. et al. 2002). Le indicazioni emerse sono utili per interpretare correttamente il risultato analitico. Con il metodo semi-quantitativo FPIA, cutoff in equivalenti di benzoilecgonina < 300 ng/mL, dopo 24, 48 e 72 ore la benzoilecgonina si riduceva, rispettivamente, al 33%, 8% e 4%. Il primo campione negativo si otteneva, in media, dopo 43.6 + 17.1 ore. Nel 70% dei casi le urine erano positive almeno una volta dopo essere risultate negative e la positività era rilevabile in media per 4,5 giorni, cioè ben oltre le 48 ore dell’attesa finestra di rilevazione. Il tempo di rilevabilità è ulteriormente allungato se si normalizza per la creatinina (cutoff di 300 ng di equivalenti benzoilecgonina/mg di creatinina); in media si passa da 81 ore (34-162) ad 88.4 ore (35.6-235).

Questo accorgimento può sopperire ad alcuni limiti dello screening urinario. Infatti, la diagnosi d’uso di cocaina basata su analisi delle urine può perdere molti casi per la breve emivita delle sostanze e per la velocità con cui poi risultano sotto soglia. A tale riguardo, per estendere il tempo medio di rilevabilità, è stato proposto il sistema di abbassare le concentrazioni di cutoff, cosa però che non sempre è corretta ed opportuna soprattutto per eventuali risvolti amministrativi e legali dell’accertamento. Pur considerando le particolarità sin qui esposte, la finestra temporale media di rilevabilità della cocaina/benzoilecgonina nelle urine (48 h) consiglia un’opportuna frequenza degli accertamenti (due/settimana) soprattutto nei primi mesi di trattamento. A titolo orientativo, si riporta quanto stabilito a riguardo nel caso del trattamento della dipendenza da oppiacei. L’FDA (Food and Drugs Administration), autorità di normazione e responsabilità di monitoraggio dei programmi a mantenimento metadonico per gli Stati Uniti, ed il NIDA (National Institute of Drug Abuse), nell’apposito regolamento richiedevano un esame tossicologico su un campione urinario al momento dell’ammissione al trattamento e la ricerca del metadone, ed altre sostanze d’abuso, su otto campioni random durante il primo anno di trattamento.

Per gli anni successivi almeno un esame di laboratorio ogni 4 mesi, mensilmente per i pazienti con affidamento domiciliare del farmaco. Otto esami all’anno sono considerati sufficienti per soggetti che assumono il farmaco giornalmente. Gli esami tossicologici dovevano servire principalmente a modificare, se necessario, l’approccio terapeutico. Nel caso di un paziente positivo a sostanze diverse dal metadone, l’esame tossicologico era previsto a cadenza settimanale. In aggiunta alla frequenza minima richiesta per gli accertamenti tossicologici, la cadenza era intensificata sulla base degli esiti nel corso del trattamento e nella parte iniziale del percorso terapeutico sino alla stabilizzazione del soggetto. Sintetizzando, lo schema riporta il numero di esami previsto, le molecole da ricercare nelle urine in relazione alla fase del trattamento e alle condizioni del paziente.

 

numero-esami-cocaina

 

Il perdurare dell’uso di sostanze è un problema che ogni trattamento per le dipendenze deve tenere sotto controllo per sostenere e calibrare il processo terapeutico, contenere cadute e ricadute, limitare il drop-out e favorire un buon esito dell’intervento. Per tali ragioni un monitoraggio dell’uso di sostanze psicotrope, della quantità e frequenza di assunzione, rappresenta una componente essenziale nell’accompagnamento-valutazione dell’intero percorso. Ragioni di maggiore praticabilità e minor costo sostengono la scelta di alcuni clinici nell’affidare completamente tale monitoraggio (anche per la valutazione dell’outcome) all’autodichiarazione del paziente (selfreport) senza avvalersi di un esame tossicologico qualitativo o quantitativo che sia. Tale scelta presenta tuttavia significative limitazioni quando non sia adeguatamente implementata da un opportuno sostegno del laboratorio, in modo particolare quando il consumo da monitorare sia quello della cocaina. Cercheremo nel seguito di riassumere i principali vantaggi e svantaggi delle scelte possibili. Alcuni dati tratti da un trial clinico sul trattamento comportamentale per abuso di cocaina in pazienti a mantenimento metadonico rendono, in termini quantitativi, la relazione tra l’uso di droga riferito dal soggetto e quanto rilevato attraverso l’esame delle urine. Per le condizioni sperimentali e le modalità operative si rimanda al lavoro originale (Silverooner R.K. et al. 1994); in questa sede si intende semplicemente considerare quanto emerso dal raffronto tra i 1678 self-report e l’esame analitico in altrettanti campioni urinari (tre campioni settimanali nel corso di 17 settimane dello studio) contestualmente raccolti ed abbinati. Il 67% dei campioni urinari erano positivi per la cocaina contro il 28% delle autodichiarazioni d’uso nelle ultime 24 ore (p<0.001). Un possibile trascinamento positivo era ipotizzato a spiegazione di questa macroscopica discordanza. La BEG può essere ritrovata nelle urine sino a 48 ore dall’assunzione di cocaina ed anche più a lungo per dosi elevate della stessa o per fattori di escrezione individuali. La raccolta frequente del campione urinario (ogni 48 ore) poteva di conseguenza far ipotizzare un rischio di un trascinamento positivo. 

Self-report Vantaggi: buona praticabilità (facilità di raccolta e non invasività), basso costo, ampia copertura temporale (da poche ore a giorni, settimane, mesi antecedenti al self-report), possibilità di rilevare abitudini e modalità assuntive. Svantaggi: attendibilità spesso scarsa (specie nell’uso di cocaina), mancanza di accuratezza, giudizio soggettivo sulle quantità, tendenza a riferire meno del reale, difetti di memoria anche in conseguenza di sostanze co-assunte (es. benzodiazepine).

Screening urinario Rileva la presenza di sostanze e relativi metaboliti Vantaggi: misura oggettiva, indipendente dalla memoria (che è soggettiva) e dalla sincerità del soggetto, misura standardizzata attraverso il cutoff per confronto nel tempo e nello spazio. Svantaggi: a differenza del self-report la sostanza deve essere presente nel campione biologico perché possa essere rilevata, limitata finestra temporale di rilevabilità (ore, mediamente 48 ore per la cocaina, influenzata anche dalla sostanza, dall’emivita biologica, dalla dose e tempo di assunzione, metabolismo ed escrezione, caratteristiche del singolo individuo e del test utilizzato), sottovalutazione dell’uso se il test non è sufficientemente frequente e sopravalutazione se invece è troppo frequente. L’esame è qualitativo e può non rilevare cambiamenti nelle quantità assunte (se comunque queste sono sufficienti a dare concentrazioni superiori al cutoff) o nella frequenza di assunzione.

Testing urinario Rileva la concentrazione di sostanze e relativi metaboliti. Vantaggi: rileva cambiamenti anche modesti dell’uso di sostanze. Questa possibilità è particolarmente utile ed importante nell’identificazione di trattamenti in grado di diminuire il consumo di cocaina (soprattutto perché al momento non si conoscono trattamenti particolarmente efficaci); rileva cambiamenti anche di frequenza e di modalità di consumo. Svantaggi: costo talvolta più elevato rispetto allo screening, influenza del momento del prelievo del campione (possibilità di concentrazioni sovrapponibili per campioni prelevati molte ore o giorni dopo l’assunzione di un’elevata quantità o poche ore dopo l’assunzione di una dose modesta), differenze metaboliche interindividuali e abitudini assuntive condizionano i livelli di concentrazione di sostanze e metaboliti. 

In sostanza, alla maggiore praticabilità e minor costo del self-report, si contrappone la concreta possibilità di bias legati all’inaccuratezza, voluta o meno, con cui il soggetto ricorda e riferisce l’uso di sostanze, la tipologia, la quantità, la frequenza; all’attendibilità, efficacia dello screening e del testing di laboratorio, si contrappone la minore praticabilità, il costo e la necessità di specifica competenza per un adeguato uso delle informazioni. Nonostante tali limitazioni, per monitorare il reale uso di cocaina, sia in corso di trattamento sia nella valutazione degli esiti a breve e medio termine, il contributo del laboratorio diventa essenziale in quanto il clinico ha bisogno di sapere se il paziente assume realmente quanto dice o non dice di assumere e solo l’analisi dei fluidi biologici è in grado di fornire informazioni oggettive. A tale riguardo, sono oggi disponibili anche dispositivi che consentono una valutazione di tipo qualitativo on-site, al punto di raccolta, dispositivi da utilizzare su urine, saliva e traspirato. Semplici da usare, rapidi, sono in grado di dare indicazioni su diverse sostanze nello stesso tempo visualizzando il risultato positivo o negativo attraverso la comparsa o meno (a seconda del dispositivo) di una banda colorata entro 5-10 minuti. Tali dispositivi, che devono però essere utilizzati con le dovute accortezze, hanno alcune particolarità che li rende “unici” in un programma di trattamento quando non ci siano esigenze particolari: l’immediatezza della risposta e la possibilità di essere utilizzati da personale sanitario senza particolare competenza analitica consentendo al clinico un’indicazione immediata circa l’uso recente di cocaina e, di conseguenza, sull’andamento del percorso terapeutico. Purtroppo il pannello di sostanze rilevabili è limitato alle classi di sostanze oggetto di screening tradizionali. La ricerca risulterebbe quindi vana per molte molecole di più recente introduzione nell’abuso. La qualità dei dispositivi on-site è di molto migliorata negli ultimi anni, le accuratezze dei risultati positivi e negativi prodotti sono in accordo con quelli prodotti con tecniche di screening usate in gran parte dei laboratori. Si è inoltre sviluppata l’applicazione su matrici biologiche diverse dalle urine, in particolare sulla saliva. Questa possibilità riveste un certo interesse dal momento che l’analisi del fluido orale, o saliva, è riportata in alcuni lavori come più accurata rispetto alle urine nel rilevare l’uso di droghe nell’ambito di un trattamento (Bennett G.A. et al. 2003).

 

Cocaina e Fluido Orale (Saliva)
Le caratteristiche principali del fluido orale sono riportate nel seguente schema.
Flusso totale: 500-1500 ml/giorno
Provenienza: dalla secrezione delle ghiandole submaxillari (65%), parotidi (23%), sublinguali (4%). La saliva si forma alla base dei dotti di escrezione delle principali ghiandole salivari e mano a mano che scende diventa sempre più ipotonica.
Composizione: per il 99% da acqua; contiene sali minerali, proteine (lipoproteine che agiscono da lubrificanti) ed enzimi che aiutano la digestione. La concentrazione salivare è un riflesso della concentrazione plasmatica delle molecole. Nel caso di molecole debolmente alcaline, la loro
concentrazione salivare dipende anche dal pH della saliva modificando il rapporto teorico saliva/plasma.
pH finale: 6.8

 

Nel fluido orale, più comunemente anche se riduttivamente identificato come “saliva”, le sostanze sono rilevabili per un periodo di tempo più breve rispetto alle urine, mediamente tra le 12 e le 24 ore dall’assunzione. Il fluido orale può essere raccolto nel rispetto della dignità della persona e sotto osservazione, le possibilità di adulterazione sono praticamente nulle. Uno svantaggio, in certi casi pregiudizievole, è che il volume raccolto è molto contenuto e, talvolta, può risultare insufficiente per l’analisi. La concentrazione degli analiti nella saliva è più bassa che nelle urine, e ciò richiede tecniche più sensibili per l’analisi. In virtù di questa esigenza, sono stati proposti a livello internazionale i cutoff, per le principali sostanze e classi di sostanze, al di sopra dei quali considerare positivi i campioni nei test di screening e di conferma. La tabella riporta per le urine e per la saliva alcuni fattori critici per la performance di un test mirato alla rilevazione e dosaggio della cocaina e benzoilecgonina. In particolare, si noti la differenza tra le due matrici circa i cutoff, cioè i valori soglia per determinare un esito positivo o negativo dell’analisi ed il tempo di rilevabilità nel campione biologico della sostanza di interesse dopo l’uso. Per quanto riguarda i cutoff, si fa riferimento a quanto stabilito, o suggerito, dal Department of Health and Human Services (DHHS)/Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA) che ha sviluppato linee guida per i programmi di drug testing sul posto di lavoro.

 

livelli-di-cutoff-e-tempi-di-rilevabilita-per-cocaina

1 Cutoff nelle linee guida DHHS per il Federal Workplace Drug Testing Program (urine) programmati nei posti di lavoro; ultima revisione 13 Novembre 1998 (63 FR 63483).
2 Cutoff proposti da DHHS per urine e fluido orale; Federal Register, 2004 (April 13); 69(71);19644-19732.
* Linee guida generali: L’interpretazione dei tempi di ritenzione deve considerare i valori di cutoff per il test e la variabilità dei campioni da testare, il metabolismo della sostanza e l’emivita, le condizioni fisiche del paziente, l’assunzione di liquidi, la via di assunzione, la frequenza e la durata dell’assunzione.
** I tempi di rilevabilità nel fluido orale sono determinati in GC-MS o RIA dopo l’assunzione di un dosaggio di sostanza contenuto e a livelli di cutoff più bassi di quelli indicati nelle linee guida DHHS.

 

Un crescente numero di laboratori nel mondo analizza routinariamente campioni di saliva raccolti da soggetti per esigenze lavorative, legali e trattamentali. Anche per le finalità cliniche è necessario che l’analisi nella saliva, come anche nelle urine, sia il più affidabile possibile. A questo scopo sono stati allestiti programmi di Assicurazione di Qualità (interno ed esterno), principio chiave su cui dovrebbe basarsi ogni laboratorio analitico. Un recente lavoro riporta i risultati di un programma di Valutazione Esterna di Qualità con 18 campioni di saliva addizionati con 19 sostanze ed a cui hanno partecipato tredici laboratori negli USA e nel Regno Unito (Clarke J., Wilson J.F. , 2005), analizzati con tecnica EIA per lo screening e GC/MS per la conferma. Gli errori principali erano dovuti alla carenza di sensibilità (variabile a seconda della sostanza ricercata) attorno alle concentrazioni dei cutoff nel metodo immunochimico.

La sensibilità (veri positivi, su veri positivi più falsi negativi) risultava pari al 100% per la cocaina. La tecnica cromatografica di conferma mostrava un basso numero di errori di sensibilità.
Uno screening per le principali sostanze di abuso, ed in particolare per la cocaina, può essere effettuato anche in un’altra matrice biologica: il traspirato.

 

Cocaina e traspirato (o sudore)

Lo screening attraverso il traspirato (nel seguito chiamato sudore) rappresenta una procedura non invasiva per il monitoraggio dell’esposizione alle droghe in ambiti diversi tra cui quello lavorativo e giudiziario. La sua applicazione negli ultimi anni ha trovato spazio, se pur con qualche cautela, anche nell’ambito dei trattamenti per la dipendenza da sostanze psicotrope. Particolare attenzione è stata dedicata alla cocaina. Per una valutazione corretta della idoneità di questa matrice è necessario considerare alcuni aspetti rilevanti a favore o meno. Tra questi, il metodo di prelievo è il meno invasivo fra quelli disponibili, in pratica il campione non è adulterabile, è possibile un’ampia finestra di rilevabilità in quanto sui può accumulare la sostanza in esame attraverso l’applicazione di appositi cerotti per più giorni.

Per contro, l’identificazione della sostanza madre e dei metaboliti non è sempre agevole con i metodi di screening per via delle basse concentrazioni degli analiti che condizionano anche il tempo di rilevazione, le relazioni tra dose e concentrazione rappresentano aspetti non ancora definitivamente chiariti. Altro elemento rilevante è rappresentato dal cutoff sulla scelta del quale, la comunità scientifica ha a lungo discusso per trovare una accordo.
L’interesse applicativo di questa matrice biologica ha sollecitato la comunità scientifica e gli organismi regolatori internazionali a focalizzare l’attenzione per la soluzione di alcuni di tali problemi che hanno ritardato l’impiego del traspirato, primo fra tutti l’indicazione di cutoff
opportuni e condivisi. Una risposta a tale esigenza è stata maturata dalla SAMHSA (The Substance Abuse and Mental Health Services Administration) che ha proposto un cutoff di 25 ng/pad (superficie assorbente come ad es. il cerotto) per lo screening della benzoilecgonina e 25 ng/pad per la conferma di cocaina (COC) o benzoilecgonina (BEG) (US Department of Health and Human Services. 2004).
Le caratteristiche del sudore sono riportate nel seguente schema, mentre la figura rappresenta la struttura attraverso la quale il sudore viene prodotto.

 

schema-pelle-e-tessuto-sottocutaneo

 

I meccanismi di incorporazione della cocaina, come di altre sostanze, nel sudore non sono ancora completamente chiariti. In linea di massima la sostanza, non ionizzata, passerebbe per diffusione passiva dai capillari alle ghiandole sudoripare. Al basso pH del sudore, le sostanze possono ionizzarsi accumulandosi nel campione, possono attraversare gli strati (derma ed epiderma) della pelle ed essere raccolte in superficie con appositi dispositivi come cerotti protetti da contaminazioni esterne attraverso una pellicola, oppure da piccole superfici assorbenti (come i pad nel dispositivo DrugWipe) che vengono strofinate sulla pelle . Occorre però tener presenti fattori di variabilità come la diversa produzione di sudore, la possibile contaminazione ambientale, la perdita di sostanze da alcuni ipotizzata per degradazione del dispositivo di raccolta o per riassorbimento attraverso la pelle nel caso in cui si usino cerotti applicati per diverse ore o giorni, fattori legati all’escrezione delle sostanze e loro metaboliti nel sudore. Uno studio condotto recentemente (Kacinko S.L. et al. 2005) ha fatto per primo chiarezza su molti di questi aspetti.

E’ stata studiata la relazione tra dose somministrata e concentrazione di cocaina e metaboliti nel sudore. In condizioni di somministrazione controllata a tre livelli di concentrazione, è stata utilizzata una metodica con estrazione in fase solida e gas cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa per l’analisi quantitativa di cocaina, benzoilegonina, ecgonina metil estere, cocaetilene, norcocaina, m-idrossicocaina, p-idrossicocaina, pidrossibenzoilecgonina, m- idrossibenzoilecgonina. I risultati riflettevanno l’escrezione della sostanza somministrata e sono stati valutati in relazione al cutoff pari al LOQ del metodo (2.5 ng/cerotto) ed al cutoff di 25 ng/cerotto del SAMHSA. Sui cerotti positivi, la cocaina era l’analita primario (97%), e spesso il solo (59%) rilevato nel sudore; la ecgonina metil estere era più frequente rispetto alla benzoilecgonina ed a concentrazione più elevata. Cocaina ed ecgonina metil estere sono state rilevate già entro 1-2 ore; la benzoilecgonina non prima delle 4-8 ore.

La maggior parte delle molecole era comunque escreta entro 24 ore dalla somministrazione. Oltre il 70% dei cerotti applicati per una settimana dopo la somministrazione sottocutanea di basse dosi di cocaina cloridrato (75 mg/70 Kg) erano positivi (COC ≥ 25 ng/cerotto); la percentuale saliva al 100% quando erano somministrate dosi più elevate (150 mg/70 Kg). In base ai risultati, lo studio conclude che l’analisi del sudore rappresenta un metodo efficace e attendibile per il monitoraggio dell’uso di cocaina. Interessante osservare che durante la prima settimana di astinenza, nel sudore (con ELISA a cutoff 10 ng/ml) potrebbe essere rilevata presenza di cocaina (presenza non rilevabile nelle urine, con ELISA 300 ng/ml) anche se il soggetto non ha più utilizzato la sostanza dopo la prima somministrazione. Ciò indicherebbe che la rilevazione della cocaina nel sudore può essere più sensibile rispetto alle urine, almeno ai cutoff indicati, ed utilizzata con vantaggio per monitorare l’assunzione della sostanza in pazienti in trattamento (Preston K.L. et al. 1999).

Occorre però in ogni caso considerare la necessità di approfondire ulteriormente alcune questioni attualmente dibattute come la variabilità nella concentrazione di analiti, a seconda della zona anatomica di posizionamento (o strofinamento) del dispositivo, e la possibilità di una loro modesta perdita per riassorbimento o eventuale evaporazione del sudore attraverso la membrana protettiva permeabile del cerotto (Uemura N. et al. 2004). Tali aspetti, tuttavia, interessano soprattutto altri settori di utilizzo di questa matrice, soprattutto in relazione alle conseguenze legali per il soggetto testato. A favore dell’utilizzo del sudore, rispetto alle urine, per la misura dell’outcome in trials clinici sui trattamenti per cocaina si esprimono anche altri studi. Ad esempio, attraverso l’applicazione del PharmCheck tm ad ogni visita (trisettimanale) si rilevava l’uso di cocaina nell’80.5% dei 70 giorni di durata dello studio a fronte del 77.4% per applicazioni settimanali del dispositivo e del 76.1% rilevato con lo screening delle urine effettuato tre volte a settimana. Un vantaggio era anche evidenziato in termini economici.

Il self-report invece risultava insoddisfacente e scarsamente correlato con il dato analitico (Winhusen T.M. et al. 2003). Per la rilevazione della cocaina attraverso il traspirato sono disponibili in commercio anche dispositivi on-site (es. il DrugWipe) che consentono la rilevazione rapida (nell’ordine di pochi minuti) della cocaina, e altre sostanze, alla presenza del paziente e senza ricorso al laboratorio. La finestra temporale di rilevabilità in questo caso è più ridotta in confronto a quella consentita, per effetto dell’accumulo, dal cerotto da lasciare in situ per giorni. Un fattore limitante per la diffusione dei dispositivi on-site su saliva e sudore nel monitoraggio dei trattamenti delle dipendenze è rappresentato dal costo oggi superiore a quello di uno screening urinario spesso effettuato con l’utilizzo di analizzatori automatici che riducono il costo dei reagenti.

Valutando più attentamente il rapporto beneficio-costo però, i dispositivi on-site consentono un feedback immediato per il paziente, annullano i tempi di attesa per la risposta da parte del laboratorio, possono essere utilizzati da personale sanitario senza specifica competenza analitica e consentono al clinico di intervenire tempestivamente, in caso di positività, mettendo in campo aggiustamenti terapeutici o iniziative mirate a limitare i rischi di un abbandono precoce del programma da parte del paziente. In conclusione, nella valutazione di un programma di trattamento per sostanze d’abuso (come la cocaina) l’analisi in campione biologico, generalmente urinario, rappresenta un aspetto rilevante. I campioni sono raccolti a cadenza programmata o casuale a seconda della fase del programma o degli obiettivi prefissati dallo stesso (es. riduzione dell’uso in termini di quantità/frequenza o astinenza) e sono analizzati generalmente in termini qualitativi (positivo quando si rilevi presenza della cocaina e metaboliti in concentrazione superiore ad un cutoff stabilito).

L’analisi qualitativa non è però in grado di rilevare una riduzione dell’uso di sostanza e può essere influenzata da fenomeni di trascinamento come anche inficiata da adulterazione e diluizione del campione biologico. L’analisi quantitativa, attraverso il rapporto di concentrazione nelle urine tra la cocaina ed i suoi metaboliti, è più sensibile alle variazioni d’uso (e quindi più idonea al monitoraggio di outcome intermedi), ma può essere influenzata anch’essa da alcune variabili. In base alle caratteristiche riportate, si sottolinea l’opportunità di utilizzare lo strumento del self-report e le misure di laboratorio in campioni biologici in una ragionevole combinazione per acquisire informazioni psicometriche e biometriche complementari tra loro. In termini qualitativi, buone alternative alle urine sono rappresentate da matrici quali saliva e sudore che presentano una migliore praticabilità per la raccolta del campione, che sono supportate da dispositivi on-site per l’individuazione di sostanze a pronta risposta, ma che occorre considerare in termini di costi e di sensibilità analitica richiesta. Un’ultima considerazione riguarda la necessità, ancorpiù nel corso di un trattamento per dipendenza da cocaina, di non trascurare il monitoraggio dell’alcolemia nella programmazione dello screening tossicologico che è parte integrante del trattamento.

 

Bibliografia
Alterman A.J., Kampman K., Boardman C.R., Cacciola J.S., Rutherford M.J., McKay J.R., Maany L. A cocaine-positive baseline urine predicts outpatient treatment attrition and failure to attain initial abstinence. Drug Alcohol Depend. 1997. 46:79-85
Bennett G.A., Davies E., Thomas P. Is oral fluid analysis as accurate as urinalysis in detecting drug use in a treatment setting? Drug Alcohol Depend 72 (2003) 265-269).
Clarke J., Wilson J.F. Proficiency testing (external quality assessment) of drug detection in oral fluid. Forensic Sci. Int., 150:161-164, 2005),12
Ehrman R.N., Robbins S.J., Cornish J.W. Results of a baseline urine test predict levels of cocaine use during treatment. Drug Alcohol Depend. 2001. 62:1-7
Cone E.J., Tsadik A., Oyler J., Darwin W.D.. Cocaine Metabolism and Urinary Excretion After Different Routes of Administration. Ther. Drug. Monit., 20 (5): 556-560, 1998.
Higgins S.T., Budney A.J., Nickel W.K., Foerg F., Donham R., Badger G.J. Incentives improve outcome in outpatient behavioral treatment of cocaine dependence. Arch.Gen.Psychiatr. 1994. 54:568-576
Kacinko S.L., Barnes A.J., Schwilke E.W. , Cone E.J., Moolchan E.T. and Huestis M.A. Disposition of Cocaine and its Metabolites in Human Sweat after Controlled Cocaine Administration, Clinical Chemistry 51(11): 2085-2094, 2005
Preston K.L., Epstein D.H., Cone E.J., Wtsadik A.T., Huestis M.A. and Moolchan E.T.. Urinary Elimination of Cocaine Metabolites in Chronic Cocaine Users During Cessation. J.Anal.Toxicol., 26 (7): 393-400, 2002
Preston K.L., Huestis M.A., Wong C.J., Umbricht A., Goldberger B.A., Cone E.J. Monitoring cocaine use in substance abuse treatment patients by sweat and urine testing. J Anal Toxicol 1999 (23):313-322
SAMHSA, HHS. Mandatory Guidelines for Federal Workplace Drug Testing Programs. Federal Register 70 (15) January 255, 2005
Silverooner R.K., Montoya I.D., Schuster C.R. and Preston K.L. Differential reinforcement of sustained cocaine abstinence in intravenous polydrug abusers. In: Harris L.S. ed. Problems of drug dependance, 1994. National Institute on Drug Abuse Research Monograph 153. DHHS Pub. No.(NIH) 95-3883. Washington, DC. US Govt. Print. Off. 1995
US Department of Health and Human Services. Proposed revisions to mandatory guidelines for federal workplace drug testing programs. Fed Regist 2004:69:19673-732
Uemura N., Nath R.P., Harkey M.R., Henderson G.L., Mendelson J., Jones R.T. Cocaine levels in sweat collection patches vary by location of patch placement and decline over time. J Anal Toxicol 2004, 28:253-259
Vandevenne M., Vandenbussche H., Verstraete A. Detection time of drugs of abuse in urine. Acta Clin. Belg. 55(6): 323-33, 2000
Winhusen T.M., Somoza Bonita Singal E.C., Kim S., Horn P.S., Rotrosen J. Measuring outcome in clinical trials: a comparison of sweat patches with urine toxicology and participant self-report. Addiction, 2003. Vol 98 (3): 317-324