La recente presentazione in Parlamento, della relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) da parte del ministro dell’interno Minniti, non mi è sembrata cogliere un momento particolarmente favorevole/opportuno, alla vigilia delle vacanze estive, quando deputati e senatori sono poco disponibili – con le dovute eccezioni – a leggersi e ad approfondire il corposo elaborato (più di 300 pagine inclusi gli allegati). Non escludo, naturalmente, che qualche assistente possa sintetizzare in un paio di cartelle le parti che più possono interessare, in relazione ad aree territoriali di particolare rilevanza, singoli parlamentari. Quello che mancherebbe, in questa ipotesi, sarebbe la visione complessiva di uno scenario criminale nazionale che continua ad essere drammatico. Suggerisco, allora, di non andare a leggere, tutto d’un fiato, come qualcuno frettolosamente potrebbe fare, le “conclusioni” del rapporto (da pagina 246 a pag.269) incluse le “strategie di contrasto”, ma di procedere alla lettura/studio graduale dei vari capitoli (undici) a partire dall’analisi del fenomeno, fino alle proiezioni territoriali e all’estero delle mafie, ai loro profili evolutivi, al tema delicatissimo degli appalti pubblici, alle attività di prevenzione sul sistema finanziario a scopo di riciclaggio.
La DIA, a distanza di poco più di un quarto di secolo dalla sua istituzione (avvenuta con la legge n.410 del 30 dicembre 1991), fornisce un resoconto, a cadenza semestrale negli ultimi anni, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti contro le mafie ( italiane e straniere) con interessanti analisi e interpretazioni delle realtà mafiose e con una puntuale elencazione delle operazioni di contrasto svolte sul territorio. L’aspetto più allarmante è che, nonostante la sistematica azione di contrasto svolta, ormai da molti anni, nei confronti delle mafie dalle forze di polizia e dalla magistratura, le potenzialità criminali, militari, finanziarie, di queste siano comunque enormemente cresciute. Da questo l’opinione sempre più diffusa della invincibilità delle mafie, di una guerra perduta dello Stato ( nonostante diverse battaglie vinte), e di una terrificante abitudine che si è andata facendo strada ad una sorta di “convivenza” con la criminalità mafiosa. Criminalità che continua a controllare rilevanti porzioni del nostro territorio, con incredibili proiezioni all’estero per reimpiegare il denaro prodotto dalle molteplici attività criminali, in primis dal traffico di sostanze stupefacenti. Così, nella relazione della DIA, cosa nostra è sempre presente in Germania, Belgio, Olanda, Spagna, Malta, Albania, Stati Uniti, Canada e, anche dopo la morte di Bernardo Provenzano, il padrino storico, “..l’organizzazione è ancora molto vitale, con un approccio pragmatico rispetto al business, finalizzato ad investimenti profittevoli di denaro sporco, alla creazione di imprese “pulite” per garantire solide posizioni ai propri eredi..”. Se dal traffico di stupefacenti si ricavano ingenti profitti, sono sempre le estorsioni lo strumento principe con cui cosa nostra manifesta il suo “..potere coercitivo e intimidatorio su collettività e mercati, nonché su settori nevralgici delle pubbliche amministrazioni”. Uno scenario sempre “..più inquietante di sistematiche e perduranti vessazioni ai danni di un gran numero di commercianti e imprenditori locali ovvero di operatori economici impegnati nella realizzazione di lavori pubblici” ( dalla ordinanza di custodia cautelare del gip di Palermo con l’operazione “Grande Passo 4”).
La mafia calabrese si conferma la più potente di quelle italiane e la più diffusa a livello mondiale. L’emersione, poi, di una struttura direttiva segreta della ‘ndrangheta nella operazione “Mamma Santissima”, svolta dai carabinieri giusto un anno fa, pone ulteriori interrogativi sugli intrecci istituzionali dell’ organizzazione. Una mafia “versatile e opportunista” che in Europa continua a concludere strabilianti “affari” nella ristorazione, nel commercio, nel traffico di titoli finanziari, nel turismo, nella contraffazione del denaro, ricorrendo alle estorsioni, all’usura, fornendo rifugio ai latitanti. Impressionanti i numeri delle ‘ndrine (230) e degli affiliati (almeno 1.800) soltanto in Germania, emersi già alcuni anni fa con diverse inchieste tra cui Crimine, Crimine 2, Solare 3, con la presenza di rappresentanti delle varie cosche a Krefeld, Munster, Hannover, Berlino, Colonia, Dresda, Duisburg, Dusserdolf, Lipsia, Erlangen, Francoforte, Norimberga, Bochum, Friburgo, Ludwigburg, Monaco, Tubinga, Stoccarda, Mannheim, Sieburg, Detmold,
Ravensburg, Saarbrucken. Altre significative presenze della ‘ndrangheta si segnalano in Inghilterra e Irlanda ( con le cosche Trimboli di Platì, Aracri di Crotone e Fazzari di Rosarno), in Belgio e Olanda ( le cosche Nirta-Strangio di San Luca, Commisso di Siderno, Bellocco di Rosarno, Sità di Mammola, Ascone di Rosarno e Lazzarino di Bianco), in Portogallo ( Di Giovine di Reggio Calabria, Pelle-Vottari-Romeo di San Luca), in Svizzera ( Piromalli di Gioia Tauro, Bellocco di Rosarno, Gallico di Palmi, Fazzari di Rosarno, Ferrazza di Mesoraca), in Romania ( i Valle di Milano, gli Alvaro), in Bulgaria ( la cosca Vrenna-Bonaventura, Di Stefano), in Montenegro (De Stefano), in Francia ( la presenza di ben quattro locali a Tolone, Clermont Ferrand, Menton, Nizza) e, infine, in Spagna ( cosche di Maesano-Paviglianiti-Pangallo, Piromalli-Noè, Ferrazzo, Trimboli-Marando-Barbaro, Cicero).
Mafia calabrese, un tempo mafia popolare, oggi finanziaria e massonica, divenuta sempre più “globale” e silenziosamente pericolosa per la tenuta democratica del nostro e di molti altri paesi, nella perdurante generale disattenzione politica.

Il bilancio delle “imprese mafiose” italiane si basa su moltissime attività illecite che fruttano ingenti capitali da reinvestire in ambito nazionale e all’estero. Entrate di tutto rilievo provengono, come noto, in primis dal narcotraffico ( incluse le piantagioni di marijuana e di alcune varietà di cannabis tra cui quella denominata skunk, con alte concentrazioni di principio attivo). Dunque sono tanti e diversificati gli affari che fanno le mafie a cominciare dalle imposizioni del pizzo che, come sottolinea la DIA nella recente relazione semestrale presentata (luglio 2017) al Parlamento dal ministro dell’interno Minniti “..costituisce non solo fonte primaria di sostentamento illecito ma anche uno strumento di controllo del territorio”. Per la mafia siciliana l’inserimento nel settore delle opere pubbliche rimane sempre particolarmente attraente ma affari si fanno anche in quello agro-silvo-pastorale, nella imposizione di mezzi di trasporto nei cantieri, nella macellazione clandestina, nel contrabbando di carburanti, nelle infiltrazioni nella pubblica amministrazione, nelle estorsioni in danno di imprenditori agricoli. Interessi sono emersi anche nella falsificazione di etichettature, nella imposizione sulle forniture di cassette per imballaggio e persino in attività delinquenziali (rapine) di norma riservate alla criminalità comune che, però, consentono di incamerare rapidamente denaro liquido. I prestiti ad usura sono pure uno dei canali di approvvigionamento illecito, come ricorda la DIA, elencando anche una serie di “attività criminali di basso profilo” (spaccio di droghe, sfruttamento dell’immigrazione clandestina, furti in abitazione e di materiale ferroso, sfruttamento della prostituzione) svolte da gruppi stranieri e “tollerate” nelle zone a tradizionale presenza mafiosa. Affari criminali che vedono anche forme di collaborazione tra le cosche, i clan della camorra e le famiglie di cosa nostra, soprattutto in attività estorsive, nel traffico di stupefacenti e di armi.
La mafia calabrese continua a prediligere alcuni settori strategici come “..quelli delle costruzioni e del mercato immobiliare, della logistica e del trasporto su gomma, della filiera alimentare e della grande distribuzione, del turismo, della gestione del ciclo dei rifiuti (…) delle scommesse e dei giochi on line”. Da qui una montagna di denaro sporco che consente alla ‘ndrangheta “di autofinanziare i propri investimenti, di offrire beni e servizi a costi assolutamente competitivi, di immettere liquidità in aziende in crisi rilevandone le quote…” creando “…un vasto e articolato sistema societario del tutto asservito e nella disponibilità della organizzazione, ma assai difficile da individuare e aggredire”. Un quadro, come si vede, inquietante che lo diventa ancor più perché queste “società”, divenute nel tempo particolarmente “qualificate”, sono anche molto “apprezzate dai mercati” ed è grazie a loro – sottolinea sempre la DIA – che le organizzazioni criminali continuano ad interloquire con i pubblici amministratori, con i rappresentanti della finanza e persino con gli investitori internazionali. La conclusione degli investigatori e analisti della DIA, che non dovrebbe far riposare tranquillamente neanche per un giorno la nostra classe politica, è che la ‘ndrangheta è evoluta verso forme di “..imprenditoria mafiosa moderna in grado di…penetrare la realtà socio economica, anche attraverso sistemi corruttivi e collusivi”. Violenta e sfrontata la criminalità organizzata campana (composta da un indefinito numero di famiglie) che, anche a causa di scissioni interne, si è andata “destabilizzando” e trasformando in una molteplicità di gang, comandate da giovanissimi e “…più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato quando ogni gruppo era in grado di “mantenere l’ordine” sul proprio territorio…”. Sopravvivono alcuni clan della “passata tradizione criminale” particolarmente operativi nel traffico degli stupefacenti ( in consolidate relazioni con narcotrafficanti siciliani, calabresi e spagnoli), nel contrabbando di sigarette, nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti, nel gioco d’azzardo, nelle truffe ai danni dello Stato, nel settore degli appalti pubblici e, naturalmente, nelle estorsioni e nell’usura. Le mappe, tracciate dalla DIA sulle presenze nelle città e nelle province campane dei gruppi criminali, indicano una situazione di soffocante condizionamento per lo sviluppo di una collettività, nonostante tutto, ancora, battagliera e vitale.

Secondo la corposa relazione della DIA presentata in Parlamento, con cui si è dato conto delle attività svolte e dei risultati conseguiti nel secondo semestre del 2016, in uno scenario generale di mafie, italiane e straniere, che controllano vaste porzioni del territorio nazionale, la situazione non risulta affatto migliorata negli ultimi mesi. Essendo ben note il pragmatismo, la competenza e la passione con cui il ministro dell’interno Minniti svolge la sua funzione, credo che farà di tutto per incentivare l’azione generale di contrasto alle mafie che, pure, viene svolta con innegabile impegno dai settori specialistici delle nostre forze di polizia, della DIA, della magistratura. Abbiamo già evidenziato, nei giorni scorsi, le drammaticità presenti in alcune regioni ( e all’estero) con una criminalità organizzata siciliana, calabrese e campana sempre più intraprendenti e aggressive nei loro affari illeciti. Su tutti, lo ripetiamo, il traffico e spaccio di stupefacenti, i più remunerativi in un contesto nazionale e mondiale in cui la domanda di droghe si mantiene straordinariamente elevata. Anche la criminalità organizzata pugliese, ridimensionatasi quella che, storicamente, era la “sacra corona unita”, registra “l’emersione di nuovi gruppi criminali” accanto a formazioni mafiose ” da tempo radicate nelle province di Lecce,Taranto e Brindisi. In questa regione il narcotraffico e la coltivazione di piantagioni di marijuana rappresentano l’attività principale ed hanno assunto dimensioni e caratteristiche tali da risultare sempre più frequenti sinergie operative con la ‘ndrangheta e la camorra, ma anche con realtà criminali allogene , in primis quella albanese.
E’ proprio quest’ultima, tra le organizzazioni criminali straniere attive in Italia, che “..emerge per la sua pervasività stante l’interazione sempre più qualificata con le associazioni malavitose italiane”. E su questo punto, i sequestri di stupefacenti operati in Puglia dalle forze di polizia, negli ultimi anni e in questo scorcio del 2017, sono un evidente segnale della collaborazione della criminalità albanese con quella locale. Allarme, giustificato, anche nella provincia di Foggia dove opera la “mafia garganica” ( espressione utilizzata nella relazione della DIA a pag. 173) ma dove si contendono i mercati sia del capoluogo di provincia che dell’alto e basso Tavoliere, anche altri gruppi criminali (quelli di Cerignola e di San Severo). La mafia garganica (la “mafia innominabile”, come la definì, alcuni fa, inascoltato, Domenico Seccia, allora procuratore della Repubblica di Lucera), agisce con modalità spiccatamente aggressiva, privilegiando le estorsioni, il traffico e spaccio di stupefacenti, il riciclaggio. Non particolarmente tranquillizzanti le (numerose) presenze di gruppi criminali stranieri. Abbiamo accennato agli albanesi ma destano non poca preoccupazione ( almeno negli ambienti investigativi) i gruppi rumeni divenuti, nel tempo, “organizzazioni strutturate”, quelli della criminalità nordafricana e nigeriana che già in diverse inchieste giudiziarie ha evidenziato “natura mafiosa”, quella proveniente dai paesi dell’est ( tra cui i georgiani, specializzati nei furti in appartamento e nel contrabbando di sigarette), quella sudamericana, in particolare gruppi di colombiani particolarmente esperti nel commercio di cocaina. Un cenno a parte va riservato alla criminalità cinese che “nel tempo ha raggiunto livelli di assoluto rilievo” gestendo “traffici illeciti di portata transnazionale” ( la tratta di persone, lo sfruttamento di manodopera, della prostituzione, la contraffazione e il contrabbando, l’usura e la gestione di bische clandestine, il traffico di droghe sintetiche).
Polizia di stato , carabinieri, guardia di finanza, gli investigatori della DIA, le varie direzioni distrettuali antimafia, la DNAA, tutti si danno un gran da fare nel contrasto alle tante (troppe) mafie che come metastasi stanno divorando il paese. Quello che continua a mancare, ed è questo il vero dramma, una adeguata, vera strategia politica di contrasto senza la quale, tra duecento anni, si starà ancora parlando di mafie e antimafia.

 

di Piero Innocenti
(Dirigente generale della Polizia di Stato a riposo, Questore in alcune importanti città italiane ha avuto una pluriennale esperienza nella Direzione Centrale per i Servizi Antidroga svolgendo anche servizio in Colombia come esperto).