Migliorare assolutamente il livello di sicurezza nelle città e, più in generale in tutto il territorio, è diventato uno degli obiettivi prioritari del governo da poco insediatosi. Ci sono molte aspettative da parte dei cittadini che reclamano, giustamente, da anni, maggiore attenzione sul tema e a poco sono servite le statistiche ufficiali sulla delittuosità degli ultimi anni che hanno registrato un (lieve) calo delle denunce presentate che non sta ad indicare affatto una diminuzione dei delitti. Poco convincenti anche le varie teorie, alcune enunciate da autorità locali e di pubblica sicurezza, secondo cui, mentre i reati diminuivano, era la percezione della insicurezza che non era calata tra i cittadini. Compito, dunque, arduo quello che si accinge a svolgere, soprattutto, il nuovo Ministro dell’Interno, “responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica” oltre che “Autorità nazionale di pubblica sicurezza” (art 1 della legge 121/1981). Quest’ultima affermazione, peraltro, è di particolare rilevanza, perché per la prima volta nella storia amministrativa del nostro paese, il legislatore ha individuato un’Autorità “nazionale” di pubblica sicurezza mentre in precedenza, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (del 1931) ed il suo regolamento (del 1940) individuavano solo Autorità “provinciali” (il prefetto ed il questore) e “locali” ( il capo dell’ufficio di pubblica sicurezza distaccato o, in mancanza, il sindaco).

Autorità, politica, nazionale unica anche se nei lavori parlamentari era stata avanzata, da più parti, la proposta di attribuire anche al Capo della Polizia la posizione di Autorità nazionale di pubblica sicurezza ( e le due “sviste”  del plurale “autorità centrali” di pubblica sicurezza di cui alla lettere c) dell’art.3 e al penultimo comma dell’art.43 della L.121/1981, confermerebbero quanto accennato). Se, dunque, al Ministro dell’Interno le norme attribuiscono una particolare posizione soggettiva, poteri amministrativi e organizzativi di rilievo (il secondo comma dell’art.1 della legge sopra citata, parla del “Ministro dell’Interno che adotta i provvedimenti per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”), l’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza viene attuata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, quindi dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, che provvede al coordinamento tecnico-operativo secondo le direttive e gli ordini del Ministro. Naturalmente la prevenzione resta l’attività fondamentale che deve essere svolta dalle autorità di pubblica sicurezza periferiche e dagli ufficiali e agenti  che nei vari territori operano alle loro dipendenze funzionali. E’ l’art.1 del “vecchio” TULPS a ricordare che “l’autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà;  cura l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, nonché delle ordinanze delle autorità; presta soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni”.

Una norma che conserva una straordinaria attualità e modernità,  nonostante i tanti anni trascorsi, e che richiama la fondamentale attività di polizia di prevenzione e gli strumenti giuridici utilizzabili per la sua pratica attuazione. In questo ambito il questore di una provincia può esercitare alcuni “poteri” che sono previsti, in particolare, dalla legge 27 dicembre 1956, n.1423 (“Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e perla pubblica moralità”) e dalla legge 31 maggio 1965, n.575 (“Disposizioni contro la mafia”). Quanto alla legge 1423/1956, il questore può,  nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica e che si trovino fuori dei luoghi di residenza, rimandarvele con un provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare senza preventiva autorizzazione e per un periodo non superiore a 3 anni (art.2). Si tratta, però, in caso di violazione, di una semplice contravvenzione sanzionata con l’arresto da uno a sei mesi che non è di particolare efficacia come insegna l’esperienza. Nel corso dei primi tre mesi del 2018 sono stati adottati oltre 2.300 di questi provvedimenti, sulla scorta di segnalazioni delle varie forze di polizia, mentre, nel corso dell’intero 2017, erano stati poco più di 10mila.

Altra misura adottabile nei confronti di persone pericolose è l’avviso orale, un invito, verbalizzato, con cui il  questore sollecita una persona a tenere una condotta conforme alla legge specificando i  motivi che giustificano il provvedimento ( 2.500 quelli già fatti in questi primi mesi del 2018, oltre 8mila quelli del 2017). L’avviso orale è “preparatorio” alla proposta della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza ( inoltrate 230 nei primi tre mesi del c.a. erano state 949 nel 2017) ,che il questore avanza al presidente del Tribunale del capoluogo, se la persona, nonostante l’avviso orale non ha cambiato condotta e continua ad essere pericolosa per la sicurezza pubblica. La durata della sorveglianza non può essere inferiore  ad un anno né superiore a cinque. Si tratta, insieme ad altre misure, tra cui i cosiddetti Daspo,di interdizione a manifestazioni sportive ( quasi 500 nel primo trimestre del 2018, erano stati 2.500 nel 2017), quelli previsti dalla legge 48/2017 per garantire la “sicurezza urbana”  (364 nel 2018, 1.657 nel 2017 e  gli “ammonimenti” (400 nei primi tre mesi del 2018, 1.481 nel 2017) per il delitto ex articolo 612bis del c.p. ( cosiddetto “stalking”) di provvedimenti questorili per prevenire situazioni più gravi e che necessiterebbero, forse, di una “revisione”  nell’ottica di aggiornare un sistema preventivo per renderlo più efficace.

 

di Piero Innocenti
(Dirigente generale della Polizia di Stato a riposo, Questore in alcune importanti città italiane ha avuto una pluriennale esperienza nella Direzione Centrale per i Servizi Antidroga svolgendo anche servizio in Colombia come esperto).